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alleanza terapeutica

Testamento biologico: mancano le premesse fondamentali

“Non è mai troppo tardi” è un film sull’ultima fase di vita di 2 malati terminali.

Oggi 14 dicembre 2017 è diventato legge il testo sulle DAT (disposizioni anticipate di trattamento) meglio nota come “testamento biologico”.

Trovo quindi attuale la relazione da me presentata all’incontro “Testamento Biologico” nell’ambito della riunione del Comitato Consultivo Misto di Rimini del 23/02/11 di cui presento qui un abstract.

Premessa fondamentale al testamento biologico è la sua costruzione all’interno della relazione
tra operatori sanitari e pazienti attraverso un’alleanza terapeutica.
Purtroppo tale premessa viene spesso disattesa già laddove le leggi esistono e la
imporrebbero: mi riferisco al consenso informato, che obbliga i medici a informare gli utenti in
merito alle loro condizioni cliniche e ai possibili trattamenti.
A dispetto della legge, i dati di letteratura riportano come molto spesso i pazienti oncologici in
fase terminale non siano informati circa le proprie condizioni cliniche.

Secondo uno studio condotto dalla nostra équipe (UO Terapia Antalgica e Cure Palliative dell’Ospedale Infermi di Rimini) sui pazienti ricoverati negli hospice di Rimini e Savignano sul Rubicone [1], solo il 70% di loro era a conoscenza della propria diagnosi e il 30% della propria prognosi infausta.
E questo nonostante altri dati di ricerca, che testimoniano da un lato come i pazienti chiedano
di essere informati per esercitare il loro bisogno di controllo sulla malattia e per potre essere
facilitati nell’attribuzione di senso a ciò che sta loro capitando, dall’altro come i medici
ritengano opportuna la comunicazione di diagnosi di tumore (nella misura del 71,3%, secondo
una ricerca da noi condotta in attesa di pubblicazione) e di prognosi e come la ritengano utile
nel favorire la compliance dei pazienti alle terapie e la scelta delle cure (nell’82,8% dei casi,
secondo lo stesso studio).

Gli stessi medici confidano che, a dispetto del loro atteggiamento
favorevole alla comunicazione, raramente si esprimono in modo veritiero e completo con i
propri pazienti (solo un 25% di loro lo fa).
Si può ipotizzare che tale discrepanza tra atteggiamenti e comportamenti sia legata alla loro
difficoltà a fare i conti con l’impotenza terapeutica e con l’empatizzare con il sentimento di
tristezza generato da tali comunicazioni.
Quindi la scarsa consapevolezza di diagnosi e prognosi dei pazienti oncologici in fase terminale
deriva, oltre che dai loro processi di negazione e dalla difficoltà a comprendere il linguaggio
medico, anche dalla mancata comunicazione da parte dei medici.
E senza una comunicazione completa e veritiera è impossibile la costruzione di una relazione di
fiducia e di un’alleanza terapeutica, a sua volta base essenziale per la condivisione di un
testamento biologico.